DESCRIZIONE
Note su Eleison
di e con Piero Macaluso
suoni e luci Antonella Lo Cascio
assistenza Sergio Monachello
Eleison è uno scritto in movimenti, si compone di parole in versi liberi dove a volte la parola danza nella mente, diventa gesto, azione; a volte si fa denuncia, feroce ironia, dolce violenza della dizione, cacofonia del linguaggio. La parola diventa viva nel fango della pronuncia, è linguaggio cifrato del cuore e della memoria, è linguaggio orale, sonoro, sfugge all’universalità piatta delle grammatiche, sfumatura impercettibile e partitura segreta di chi lo suona. Il dialetto è suono di una terra con le sue incrostazioni profonde di suoni che danzano in modo inconfondibile.
Le tre voci recitanti, L’uno, L’altro e Quello, incarnate in un solo corpo, narrano di tre modi diversi di vivere uno stesso dolore. “Il testo propone riflessioni su determinati modi di concepire ritrosie ed afasie proprie di una terra, come la Sicilia, colma di dialetticità e contraddizioni, stanca di sopportare e al contempo resistente fino agli ultimi spasimi.” (dalle note del filologo Mario Minarda).
Alla parola recitata fa da contrappunto, sovrapponendosi o affiancandosi a essa, la parola cantata, che alleggerisce poeticamente quanto le parole scandiscono con cinismo.
Eleison diventa così luogo della mente, spazio nella coscienza dove la purezza è mito che si uccide, si sacrifica sull’altare dell’indignazione; la parola si fa carne e si offre allo sguardo ingordo nella sua crudità.
Alla fine il delirio monologante diventerà rito collettivo attraverso lo scandire del pubblico della parola Eleison (abbi pietà, ricordati di me) alle frasi invocative dell'officiante mentre qualcuno raccoglierà le offerte.
…ci sono alcuni passaggi che mi hanno fatto bene solo a leggerli, chissà che bello sentirli a voce.
Probabilmente sono quei momenti (…) quelli di quando chi scrive quasi si perde, si scioglie nelle sue stesse parole. Non so come spiegarlo altrimenti, ma è un fluire che conosco. A me è arrivato anche un certo senso di dispersione, non so se è responsabilità del dialetto o se è una cosa voluta, fatto sta che è come se non ci fosse un unico tema e significato, ma un voler esprimere un sentimento che di per sé è anche abbastanza preciso, una sorta di angoscia immobile che poi si configura in 'quadretti' diversi. A tratti le immagini ed il linguaggio sono forti e a tratti riesci a far suonare le parole come se fosse il violino più dolce a cantarle (alla faccia dell'assenza di strumenti) e questo è interessante e incredibile perché è un insieme che non stona dal punto di vista emotivo…
Helen Esther Nevola poetessa